Trovandomi di fronte all’ennesimo remake di un classico del passato metto subito le mani avanti e ammetto di non aver avuto l’onore (?) e il piacere di essere nato negli anni del lancio di Alex Kidd in Miracle World per Sega Master System, e forse anche per questo sono impermeabile al fascino nostalgico che permea i suoi livelli. Detto questo, in Alex Kidd in Miracle World DX non ci troviamo di fronte a un tentativo di mero svecchiamento estetico come per l’osannato Wonder Boy: The Dragon’s Trap di Lizardcube e DotEmu (qui la nostra recensione). Si tratta piuttosto di un’operazione che sì, concentra gran parte dei suoi sforzi nel plasmare il mondo “miracoloso” di Alex e soci sotto la luce di una nuova e apprezzabile veste grafica, ma lo fa unicamente per enfatizzare un gameplay che è percepito dagli stessi autori come un classico intoccabile, cristallizzato nel tempo e nello spazio come una sorta di pilastro del videoludo dell’epoca. Una valutazione, tutto sommato, molto parziale.

Quando il gruppo di giovani sviluppatori iniziò a lavorare a questo remake non possedeva nemmeno i requisti legali per farlo, ma era chiara la loro intenzione di celebrare il ricordo di una delle icone SEGA meno omaggiate negli anni recenti. E in effetti si può solo immaginare la loro felicità nel momento in cui riuscirono a far propri i diritti del marchio per puntare a una pubblicazione ufficiale del loro fan project. Leggendo e ascoltando alcune delle dichiarazioni rilasciate nel corso della promozione del loro progetto, emerge l’intenzione di restituire nel dettaglio il sognante e colorato mondo high fantasy che su Master System era solo accennato da una pixel art basilare e statica, ridisegnata attorno ad asset che in prima istanza avrebbero dovuto dar vita a un videogioco su licenza dell’arcinota serie animata Dragon Ball. E in effetti è possibile ancora oggi riconoscere molti elementi dell’universo e del tratto di Akira Toriyama in Alex Kidd in Miracle World, a partire dal monster design, fino all’ossessione del videogioco per il “jankenpon”, ossia la morra cinese che dà il nome alle tecniche usate da Son Goku nella prima parte della sua avventura.

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